Il viaggio di Giada Salomone

Me lo ricordo bene il giorno in cui la mamma è venuta da me e mi ha detto che dovevamo partire; faceva molto caldo e io avevo tanto sonno. Lei era appena tornata dal bosco distrutto quasi del tutto e mi aveva portato un po’ di graminacee. Mentre mangiavo mi diceva che avevamo quasi abbattuto tutti gli alberi, il cibo ci sarebbe venuto a mancare in pochissimo tempo e che quindi dovevamo andare, ma andare dove?

Mi ha chiesto se ricordavo quei bipedi con i bastoni neri. Certo che li ricordavo! Avevano preso il mio papà appena sono nato, per queste due zanne che ci troviamo sul muso, mi aveva spiegato la mamma. A quanto pare loro ne fanno qualcosa di strano…

Poi ha continuato mentre io spaventato ripensavo a papà. Mi ha detto che erano tornati tre giorni prima e avevano adocchiato me e gli altri cuccioli a cui stanno crescendo le zanne. Prima ce ne andremo, più avremo possibilità di rimanere vivi e al sicuro.

Così siamo partiti due giorni dopo ed ora ci muoviamo in branco da 23 giorni, sono stanchissimo.

Mi chiamo Lewe, che, come mi ha spiegato la mamma, nella nostra lingua significa “vita”. Sono un elefante africano di appena 2 anni e 11 mesi, la mia mamma ha detto che questo viaggio deve servirmi anche per maturare perché, compiuti 3 anni, devo iniziare a staccarmi da lei e che a 8 devo trovarmi una compagna, ma non so se sono pronto, ho un po’ di paura.

Ora sto sempre con lei, mi allatta e mi porta anche delle piante da mangiare, inoltre quando siamo al fiume mi aiuta ad attraversare. Non so se tra qualche mese riuscirò già a farlo da solo.

Ho anche una sorella, si chiama Dalila e ha 9 anni, è già grande, ma di solito sta con me per aiutarmi quando mamma cerca da mangiare.

Stiamo scappando dai bracconieri che vogliono le mie zanne e quelle dei miei amici. Io le vedo tutti i giorni che mi spuntano dalla bocca, stanno ancora crescendo, ma non ci vedo nulla di speciale, chissà perché le desiderano tanto.

Poi, stiamo anche cercando un’altra vallata verso sud che abbia abbastanza alberi; infatti si può dire che per procurarci da mangiare facciamo di tutto: molte volte gli adulti abbattono gli alberi per riuscire a mangiare le foglie più alte, distruggono le foreste e siamo costretti a cercarne altre.

Forse anche questo mi fa paura della crescita: dover affrontare queste situazioni e dovermi adattare a grandi cambiamenti.

La mamma mi spinge avanti perché vado troppo lento, ma sono molto stanco, non so se ce la faccio a camminare ancora.

Dalila mi sta a fianco e a volte mi prende la proboscide con la sua e la stringe fortissimo per darmi forza. Allora sorrido un po’, le faccio vedere che sono ancora sveglio e tiro avanti.

Il sole è a metà tra il centro del cielo e le montagne quando arriviamo ad una fonte. Finalmente posso sdraiarmi! Crollo sulla sabbia e allungo la proboscide per racimolare un po’ d’acqua e spruzzarmela addosso.

Mi rinfresco, ma appena chiudo gli occhi rilassandomi quasi fino a dormire mia mamma e le altre, tra cui la nostra matriarca, mi chiama: si riparte.

Mia mamma invia Dalila per aiutarmi e rassicurarmi che ci fermeremo per dormire appena calerà il sole.

Le chiedo di raccontarmi una storia per tenermi sveglio; infatti io sono un grande amante delle storie, sto sveglio anche 24 ore di fila se devo seguirne una.

Dalila mi fa cenno di sì ed inizia a pensare.

Me ne racconterà una su papà, sono le mie preferite e lei lo sa bene.

Inizia a raccontare che un giorno, prima che io nascessi (papà ha fatto davvero un sacco di cose prima che io nascessi!) il sole aveva appena superato il centro del cielo e avevano fatto un bagno, mamma aveva portato loro delle foglie e dopo aver mangiato lui la portò nel fango vicino al fiume. Le disse di buttarsi la terra sulla schiena bagnata. Subito non capì, ed io con lei mentre lo raccontava, perché doveva sporcarsi così, ma quando provò, mi dice che subito sentì un senso di freschezza su tutto il corpo e si sentì tanto bene che persino le punte delle orecchie tremarono e sulla base delle zampe le venne un leggero solletico quasi piacevole. Che invidia!

Aggiunge che non l’ha più fatto senza di lui, ma che se volevo alla prossima fonte ci avremmo provato.

Non vedo l’ora, chissà che meraviglia! Quasi salto esaltato, dimenticando la stanchezza.

Andiamo avanti per qualche metro in silenzio entrambi pensando a papà.

Poi lei rompe il silenzio e mi spiega che lo avevano insegnato a papà quando a 17 anni era stato trasportato fino in Asia

Asia? Cos’è l’Asia? Dalila mi spiega che esistono delle terre in Estremo oriente (molto più in là dell’Etiopia!) forse simili alle nostre e che esiste un mare tra queste e noi.

L’Asia è quindi un vasto territorio, mi spiega, che accoglie delle “indie”(che nomi strani però…evidentemente a lui piacevano) e sopra queste ultime c’è il posto dove avevano portato papà.

Mi dice anche che lui raccontava sempre di quando lo avevano portato laggiù e di come quegli elefanti, senza zanne e diversi da noi in tante altre cose, gli avessero insegnato un mucchio di giochi!

Ma chi lo aveva portato laggiù e perché? Dalila mi racconta che erano stati gli uomini, proprio quelli con i bastoni neri da cui stavamo scappando. Ma non erano cattivi? Infatti continua e mi spiega che quelli di cui parla la mamma lo sono, ma quelli che portarono papà lontano erano molto più bravi infatti lo aiutarono addirittura ad integrarsi. Chissà come si era divertito!

Il sole scende sempre di più sulle montagne lontane tingendo il cielo di color pesca.

Dalila finisce di raccontare, dicendo che lo avevano portato là per pochi anni e poi lo avevano fatto tornare perché come diceva sempre lui “Un elefante con le zanne non si mimetizza bene tra gli elefanti più piccoli e senza dentoni”.

Sono confuso, che cosa vuol dire ‘mimetizza’?

Prima che lo possa chiedere, Dalila si allontana e raggiunge un’amica di mamma, mamma invece si avvicina a me e mi spinge per aiutarmi. Mi chiede come va e mugolo perché non ho neanche le forze di rispondere. La mamma sospira e mi sostiene rassicurandomi che presto potremo fermarci.

Infatti facciamo così: appena il cielo diventa scuro ci fermiamo in una vallata.

Io, mamma e Dalila ci mettiamo vicini. Prima di chiudere gli occhi per dormire mi rivolgo a mia sorella chiedendole perché, se questi ‘uomini’ avevano trattato così bene papà da giovane, poi lo avevano ucciso per le sue zanne che prima tanto proteggevano.

Lei mi dice che quando papà è morto la mamma le ha spiegato che si trattava di due gruppi di uomini diversi. Quelli che lo portarono in Asia ci volevano bene e ci tenevano alle nostre zanne, mentre chi lo ha fatto cadere per terra per l’ultima volta voleva bene solo a se stesso e ai suoi bastoni neri. Le zanne sono importanti per noi e sono molto belle, per questo piacciono tanto anche agli umani. Eppure io non ci trovo niente di così speciale…

Lasciamo stare l’argomento e mi addormento guardandomi le zanne e provando sensazioni contrastanti: un grande odio per questi due ossi sporgenti per cui ho perso il mio papà, ma anche un certo orgoglio ad averli così belli da essere invidiato.

Ci svegliamo in realtà poco dopo: la matriarca grida e ci dice di scappare. Scappare per proteggerci. Dalila mi spinge via. La mamma ci fa da scudo.

Un branco di leoni ci sta circondando. Hanno fame anche loro e vogliono i nostri cuccioli, vogliono me.

Se avessi saputo che questo viaggio sarebbe stato così strano, lungo e pericoloso sarei rimasto nella vecchia valle e avrei iniziato a mangiare germogli secchi piuttosto.

Io e Dalila corriamo. Ci rifugiamo con altri cuccioli dietro degli alberi spogli, lontani dalla battaglia.

Spio la scena da dietro due rami intrecciati: un leone salta sulla mamma. Mi viene da urlare di non toccarla. Vorrei saltare su quelle leonesse e fermarle perché la mamma, insieme a Dalila è l’unica cosa che mi resta. Sto zitto. Una leonessa la graffia.

A destra, un’altra rincorre un cucciolo. Troppo lento. Gli salta addosso. Lo morde. Ancora e ancora.

Akin, così si chiama, è mio amico. Stanco dal viaggio e punto dal dolore si accascia a terra. Il leone trionfante ruggisce a chiamare le sorelle.

Ho perso un amico?

Perché Akin non si alza e le leonesse sono tutte su di lui? Lo so che anche loro hanno bisogno di mangiare, ma perchè il nostro amico Akin? Mi sembra così ingiusto eppure la mamma lo accetta, perché mi dice che come noi attacchiamo le foreste loro attaccano altri animali più indifesi: è così che va la vita. Non ci sono buoni e cattivi qui, ci sono mamme e papà che combattono, muoiono ed uccidono per i loro figli.

Ci allontaniamo.

La mamma mi dice che ora Akin è con papà e che adesso potrà scoprire da lui in persona le cose che ha imparato in Asia.

Il silenzio cala su tutto il branco e passiamo tutta la notte intorno a Lala, la mamma di Akin, che piange ininterrottamente.

La mamma non mi aveva avvisato che migrare fosse così pericoloso.

Il mattino dopo continuiamo la marcia e così facciamo per altri 2 mesi.

Un lungo viaggio ci ha portato in una valle, più grande di quella da cui siamo partiti e anche molto più tranquilla di quella dove ho visto il mio amico morire.

Ci stanziamo qui, spero per molto.

Ormai ho raggiunto e superato i 3 anni, mi sono staccato da mia mamma, la mia amata mamma che ormai ripete sempre quanto sia fiera di me.

Non fa più così paura vivere. Ho imparato a nuotare, mi sono spruzzato il fango sulla schiena insieme a Dalila (ed è vero che è bellissimo!), guardo i leoni da lontano e non cerco di evitare il loro sguardo, sono ancora molto piccolo ma ho capito come funziona questa vita.

La migrazione che tanto mi ha spaventato alla fine ha dato davvero i suoi frutti e, come voleva la mamma, sono maturato per diventare un elefante poderoso come lo fu il mio papà.

Guardo alle montagne che stanno nascondendo il sole sempre di più e penso al mio papà, ad Akin e

anche alla nostra matriarca che appena 10 giorni fa se n’è andata, vivrò anche per loro.