Il viaggio di Isotta Ferraro

Ferraro Isotta

Racconto con tema “il viaggio

Samia ha otto anni,  è nata ad Aleppo e dal giorno in cui è venuta al mondo ha sempre saputo  che sarebbe andata via dalla Siria insieme alla sua famiglia, in cerca di un futuro migliore. Quando era più piccola suo padre le diceva sempre che forse tutto si sarebbe risolto, forse non avrebbero mai dovuto abbandonare la loro casa; ma ora lui non c’è più, “tornerà, Samia” le dice la mamma, ma lei ha capito : non rivedrà mai più quel suo sorriso bonario e quelle braccia possenti : suo papà  è morto in un attacco aereo che ha distrutto gran parte della città.

La bimba vive dove capita, sotto ad un ponte, tra la macerie di milioni di case bombardate senza pietà, sulla terra nuda e fredda. Ha smesso di aspettare un giorno in cui tutto andrà meglio, lei è nata in guerra, la sua vita è sempre stata così, nemmeno lo sa che cosa significhi “vivere meglio”, ma sa che è stanca di camminare, di avere mal di pancia per la fame, di avere i piedi callosi e sporchi.

Alla sera ama guardare le stelle, sono così lontane e sconosciute che vorrebbe toccarle con le mani e prenderne una tutta per sé, ma ogni tanto deve distogliere lo sguardo dal cielo scuro, perché le fanno paura quelle scie luminose e frastornanti che squarciano il buio, a intermittenza, senza sosta. Al suo fratellino Aadil la mamma dice che quelle sono stelle cadenti e che bisogna esprimere un desiderio ogni volta che se ne vede una; lui sorride, innocente, e batte le manine felice, meravigliato davanti a quei giochi di luce. Ma Samia lo sa che quelli sono aerei militari, fa finta di non sapere per non preoccupare la mamma e il piccolo Aadil, ma dentro di lei lotta per non piangere.

La mamma al mattino si sveglia presto, anche se non dorme mai :  un occhio chiuso e uno vigile, tutta la notte,  pronto  a percepire il più tenue suono e a proteggere i propri figli; poi rimane a vagare per la città per tutto il giorno in cerca di cibo, vestiti, qualsiasi cosa le possa tornare utile. Samia rimane sola con Aadil, tenta di farlo giocare con una palla di stracci improvvisata, gli canta la ninna nanna che le intonava il papà e che lui non ha mai avuto l’opportunità di sentire sussurrata da quella bocca barbuta; ma il piccolo spesso piange : ha freddo, fame, gli manca la mamma; e Samia in quei momenti non sa cosa fare, così alla fine chiude gli occhi e sogna di vedere il mare illuminato da migliaia di stelle, corpi celesti veri, non aerei militari. Lei non l’ha mai vista quell’enorme distesa di acqua salata di cui le parlava suo papà raccontandole storie di pirati, pesci e sirene, ma è sicura che lo vedrà per la prima volta quando intraprenderà Il viaggio per lasciarsi tutta quella guerra alle spalle, solo non sa quando accadrà. La maggior parte dei suoi parenti,ma in generale oltre la metà degli abitanti di Aleppo, sono già partiti, e i pochi che rimangono, tutti, sanno che se non  emigrano anche loro, moriranno. Ogni bambino, da quando nasce, viene educato ad avere poche cose, un solo orsacchiotto, un cambio di vestiti e basta; questo un po’ perché la verità è che non è rimasto tanto di più, e un po’ perché quando si parte per Il viaggio meno si hanno valigie e meglio è, anche perché, dicono, molto spesso tutti i bagagli non vengono nemmeno imbarcati.

Samia capisce che è arrivato Quel giorno, quello del viaggio, un torbido pomeriggio di fine estate. Le bombe cadono ovunque, Aleppo è in ginocchio, anzi è decisamente a terra; Aadil urla frastornato dal suono assordante degli ordigni che esplodono; e succede così, in un attimo : la mamma guarda Samia, le stringe la mano, la fissa negli occhi :” Dobbiamo andare via.” E con “via” intende “lontano dalla Siria”. La sera stessa la famigliola si incammina, la strada si sa, la sanno tutti : basta seguire la via principale fino a Latakia, una volta centro portuale più importante della Siria.

Iniziano a camminare al crepuscolo, in una luce triste e spenta, tra le prime gocce di pioggia. Proseguono tutta la notte, attraversano il deserto, per una intera giornata arrancano tra la sabbia umida che si attacca ai vestiti.; poi si fermano, stremati, dietro ad una duna più alta delle altre, per riposare qualche ora. Quella sera le stelle non ci sono, Samia guarda, si concentra, ma tutto è nero, nemmeno la luna riesce a superare con il suo bagliore quello spesso strato di nuvole che la offusca; la bimba non riesce a prendere sonno, il terreno è impregnato di un’acqua così pungente che ogni volta che, dopo essere penetrata tra i vestiti, raggiunge le sue ossicina, la piccola trema vistosamente.  Ma alla fine la stanchezza vince e Samia si riposa, sognando una casa calda che la aspetta, ne è sicura, al di là della paura di quel viaggio.

Per una settimana i giorni si ripetono ciclicamente : i tre si svegliano, mangiano un pezzo di pane secco e poi si mettono in marcia, senza parlare, sfiniti e spaventati, fino alla sera, quando finalmente Samia può osservare le stelle, sdraiata a terra.

Poi un giorno in lontananza si vedono i resti di Latakia e la mamma piange, è felice, solleva Aadil in cielo, bacia Samia: “Ce l’abbiamo fatta” ,dice, “siamo salvi”. Ma arrivati al porto subito la donna si rende conto di non avere abbastanza denaro per tutti e tre, forse basta a malapena per uno. Così decidono di aspettare, perché magari qualche parente manderà loro dei soldi dall’Europa, pensano, e nel frattempo rimangono tra le macerie di Latakia, ad attendere qualcosa che probabilmente non arriverà mai.

Per un anno intero vivono nell’unica stanza quasi superstite di un grande palazzone bombardato, e ogni giorno tentano di trovare dei viveri e dei soldi, semplicemente per resistere una giornata in più.

Samia ha ormai undici anni e il viso scheletrico, quando la sorella della mamma, emigrata in Francia anni prima, riesce, dopo due anni dalla spedizione, a far giungere ai tre una somma di denaro sufficiente a farli imbarcare; in realtà, anche se questo Samia non lo saprà mai, quei soldi in partenza erano più del doppio, ma erano drasticamente diminuiti nel passaggio tra la Francia e la Siria, di mano in mano tra uomini disonesti.

La partenza è prevista per il quindici di aprile, saranno in centoventidue sul barcone, e partiranno di notte, per non dare nell’occhio; l’arrivo è programmato per quattro giorni dopo.

Così Samia, Aadil e la mamma partono, e quella prima notte, appena mettono piede sull’imbarcazione, tutti e tre sono pervasi da un senso di leggerezza che mai hanno provato nelle loro vite. La prima notte di navigazione la mamma racconta ai bambini le storie sulle sirene che raccontava il papà, e Samia conosce un vecchio signore che le dice come si chiama ogni stella, indicandone una per una. Il terzo giorno il mare si increspa e in mattinata cadono le prime gocce di quello che nel pomeriggio diventa un temporale con tuoni e fulmini. In poche ore il barcone  si riempie di acqua dolce e inizia a inclinarsi da un lato imbarcando anche acqua salmastra. Aadil piange, è cresciuto, ma ha solo quattro anni e stringe forte la mano della mamma, mentre Samia cerca di tenerlo in equilibrio sugli assi scivolosi. E’ una questione di attimi, secondi, che la nave si ribalta completamente : centoventidue esseri umani si trovano ad annaspare in un mare agitato e a loro ignoto. Quando Samia viene sommersa non riesce più a pensare a niente, non vede, gli occhi le bruciano, non sapeva che il sale li irrita; muove i piedi, le gambe, ma non riesce a salire a galla e a respirare di nuovo. Si lascia andare, abbandona i muscoli, chiude gli occhi e fluttua tra le bollicine di acqua, sempre più in basso. Solo quando l’acqua le entra nei polmoni, lei spalanca gli occhi : guarda in alto, sopra alla superficie nera del mare, sopra a quel cielo ancora più scuro, dove non brilla neanche una piccola stella e in un attimo si divincola, muove le braccia, le gambe, i piedi, le mani … e poi tra le onde minacciose spunta la testa magrolina di una bimba che urla, un grido disumano, ma liberatorio e pieno di vita.

Quella notte, centoquattro anime volano in cielo, mentre diciotto vengono soccorse da delle navi di pescatori.

Samia è rimasta sola, la mamma ha lottato fino all’ultimo e addirittura è stata portata in Italia ancora viva, ma è morta poco dopo; di Aadil non c’è traccia, nessuno l’ha visto, ma d’altronde sono stati recuperati solo dodici corpi, gli altri rimarranno per sempre sul fondo del mare. Samia arriva a Siracusa il ventuno aprile, di notte, la notte più luminosa che lei abbia mai visto : ci sono così tante stelle e una luna così tonda che illumina a giorno il molo del porto dove attendono ambulanze, carabinieri e volontari; ma alla bimba dalla faccia magra non interessa più sapere il nome dei corpi celesti o essere arrivata nella terra tanto agognata : a cosa serve essere lì da sola ? Come può alzare lo sguardo quando tutta la sua famiglia non c’è più ?

Samia piange, un uomo la avvolge in una metallina dorata e le parla, ma lei urla, vuole stare da sola. Si sdraia, chiude gli occhi : non li vuole aprire mai più. Ma poi delle piccola dita bagnate si intrecciano con la sua mano e lei non può che versare lacrime di gioia : Aadil la guarda con occhi grandi e scuri,  si siede tra le sue braccia, poi indica il cielo e le chiede il nome di una stella, anche a lui piacciono tanto.