Il Viaggio di Elisa Tomatis

“E iniziò a muoversi… fu come se una scossa le avesse attraversato il corpo di legno. Sì, perché era un manichino di legno che ballava. E sembra impossibile, ma tutto nei sogni è possibile.”

Ognuno ogni notte si imbatte in un qualcosa di oscuro e spaventoso… Un viaggio, attraverso paure, sentimenti, ricordi. Ecco ciò che più temiamo: i ricordi, perché, per quanto può essere difficile immaginare il futuro, è ancora più difficile ricordare e imbattersi in brutti ricordi o sentire la mancanza di tutto ciò che per noi era il presente e ora pian piano sta svanendo. E che ne dite se provassimo a spegnere il cervello, a chiudere gli occhi, a viaggiare con i sogni e i ricordi? Quindi mettete delle cuffie con una canzone o una semplice melodia. Chiudete gli occhi. Lasciate che la musica vi avvolga, che vi entri nelle ossa, vi circoli nel sangue e vi ipnotizzi, che vi faccia fluttuare nel cielo tra le nuvole. La sentite? Che musica avete scelto? Io ora sto ascoltando un brano rock, “Hell’s Kitchen” dei Dream Theatre; è un brano che parte con un ritmo lento ma carico di emozioni, l’assolo della chitarra elettrica accompagnata dalla batteria mi coccola e mi trasporta in un altro mondo. Il mio cervello pian piano si lascia andare ed ecco che inizia il mio, il nostro viaggio. Inizia con un ricordo, io che suonavo questo brano con i miei compagni davanti alla giuria del concorso, con l’adrenalina a mille, il mio corpo si muove senza che io lo comandi, le bacchette si spostano da un timpano all’altro seguendo il ritmo. Alzo gli occhi e intravedo i miei genitori, con accanto una delle mie nonne… Quanto vorrei che ora anche mio nonno fosse qui e mi sorridesse e mi incoraggiasse, che mi guardasse con gli occhi fieri e tristi perché nota per la prima volta che la sua nipotina ricciolina sta crescendo sempre più. A questo ricordo se ne sovrappone uno dell’anno prima, sento la voce di mio nonno che mi dice che andrà tutto bene e che domani al mio risveglio starò meglio. Lo sento mentre scambia le ultime parole con mia nonna prima di addormentarsi. Passo una notte tranquilla e il giorno dopo mi sveglio abbastanza presto e al posto dei miei nonni trovo mio padre che mi aspetta… Mi racconta cos’è successo nella notte e che il nonno si è sentito male. Ora sono tutti in ospedale, ma io non posso andare, sono troppo piccola per andare a trovarlo. Sento un brivido gelato attraversarmi la spina dorsale. E sono triste, ho le lacrime agli occhi, ma dentro sono arrabbiata e delusa. Mi comporto come un automa, faccio un po’ di colazione anche se ho lo stomaco chiuso, mi lavo e mi cambio. Quando sono pronta, mio padre mi accompagna in spiaggia per distrarmi un po’ e lasciarmi con le mie amiche mentre lui torna in ospedale da mia madre e mia nonna. Tutti mi chiedono cos’ha mio nonno ed io continuo a raccontare la stessa storia e ogni volta sento una fitta alla bocca dello stomaco. Racconto per tutto il giorno e ogni volta dico che c’è una piccola possibilità che si svegli e torni con me in spiaggia per fare il bagno, ma nel mio cuore so che non potrò riabbracciarlo o sgridarlo mentre fuma la sua sigaretta, sì, perché sono state quelle dannate sigarette a rovinarlo e a fargli venire l’ictus. Va avanti così per un paio di giorni fino a quando una mattina mio padre chiama mia madre e le dice di correre in ospedale. Tornano dopo qualche ora. Entrano in casa con gli occhi rossi. Non li avevo mai visti così. E capisco. E non piango. Non subito almeno… Le lacrime non vogliono uscire e so che è peggio, perché quando avranno il coraggio di uscire poi non si fermeranno più. Torniamo tutti a casa e io continuo a raccontare la mia storia e gli altri continuano a farmi le condoglianze, come se tutto ciò potesse servire a qualcosa. Il giorno del funerale vado a vedere mio nonno. Lo guardo e scoppio a piangere, ma un pianto alimentato dalla rabbia. Nella mia mente lo sgrido, mi ha detto una bugia, mi ha detto che sarei stata meglio, invece sto sempre peggio. So che passerà, un giorno, ma ora non voglio che passi. Voglio affrontare tutto, voglio uscirne con il sorriso. E così faccio, vado avanti con la mia vita. Continuo a raccontare la mia storia e a suonare per lui. Inizio a sentirmi strana, mi sembra che tutto pian piano si stia sgretolando sotto i miei piedi… E cado. Mi sveglio improvvisamente, tutta sudata, con il cuore in gola, gli occhi sbarrati e il sorriso sul viso. Ho sconfitto uno dei miei primi demoni in questo viaggio e, nonostante mi sia sentita tutto crollare da sotto i piedi e io abbia perso la mia ancora, ne ho trovata una nuova, la musica, devo suonare per lui. Ora la mia nuvola non è più tanto scura. La mia piccola nuvola piena di colori. Secondo me, i ricordi sono tutti racchiusi in una nuvola bianca insieme ai nostri sogni, che man mano, vivendo, si scurisce fino a diventare nera e carica di ricordi pronti ad esplodere in una tempesta, per pulire il cielo prima di far tornare a splendere il sole. E vorrei che si potesse fare un viaggio per raggiungere questa nuvola… Per poter poi scegliere di lasciare alcuni bei ricordi e alcuni un po’ meno felici, per imparare a vivere al meglio. Immagino la nostra esistenza come una prova, una montagna che ogni giorno dobbiamo scalare, con ostacoli e difficoltà continue, che dobbiamo superare per arrivare alla nuvola che ci aspetta. Perché la nostra vita è una scoperta continua, un esperimento che non può essere verificato con teoremi e regole, ma semplicemente continuando ad accumulare ricordi, belli e brutti, in modo che, alla fine di questo viaggio, ognuno di noi abbia una bella nuvola, non bianca o nera, ma una nuvola colorata che rispecchia i colori che lo hanno distinto nei suoi alti e bassi, con i colori delle persone che gli sono state vicino e hanno caratterizzato la propria vita, rendendola unica e indescrivibile. E la vostra com’è? La mia nuvola, per adesso, è in quel periodo in cui tutto sembra nero, ma si iniziano a intravedere i primi colori. Una volta era molto colorata, perché i ricordi erano mischiati ai sogni e tutto sembrava reale, però c’è sempre un momento nella nostra vita in cui i sogni smettono di sembrare veri e iniziamo a capire cosa veramente vogliamo fare di noi stessi. In fondo sono solo all’inizio della lunghissima scalata che mi aspetta, devo ancora vedere molte cose, fare molte esperienze, sbagliare, cadere e rialzarmi, ma soprattutto devo ancora imparare a vivere, a imparare a viaggiare e a scoprire il mio futuro. Sin da piccola ho desiderato fare un viaggio, ma non un viaggio in una città o in un altro stato per me nuovo e pieno di misteri, bensì un viaggio nel mio futuro per sapere che scelte fare e chi amare. Un viaggio in cui scoprire cosa il destino ha deciso per me, un po’ come quando inizi un libro e leggi l’ultima frase o l’ultima pagina, per sapere come tutta questa avventura si concluderà e chi sarò quando avverrà. Qualche anno fa avevo letto in un libro una frase che mi aveva colpito molto e diceva: «La mia vita è costantemente interrotta da quel click che mi spegne il cervello, mi annebbia i sensi e interrompe la mia scalata verso la vita. Ogni volta mi riporta ai piedi della montagna, per riiniziare il viaggio. E la mia domanda è sempre la stessa: “Cosa ho sbagliato per non poter vivere senza dover ogni volta ricominciare da zero? Per non poter vivere la mia vita da adolescente normale, senza problemi”» Questa frase mi ha ispirato molto. È stato dopo aver letto la storia di questo ragazzo che ho iniziato ad apprezzare la vita e a immaginarla come la scalata più impegnativa e significativa che mai in questa esistenza affronterò. A volte vorrei poter parlare con questo ragazzo e dirgli che in certi casi piacerebbe anche a me avere quel click che ti fa riiniziare da capo, ma so benissimo che se fosse così non affronterei le miei paure e miei errori, ma che devo affrontare ciò che più mi fa paura e trovare un qualcosa di così bello che superi e sconfigga i miei demoni. Ma soprattutto di trovare il modo di non lasciar andare la mia ancora, la mia persona speciale, che mi ha tenuto la mano e ha fatto in modo che continuassi la mia avventura. Vorrei aver potuto aiutarla ed essere io stessa la sua ancora, essendogli vicino… Esattamente come lui mi abbracciava, dopo essersi fatto due risate, quando cadevo o ero triste, come mi faceva sorridere quando era una brutta giornata e come mi faceva arrabbiare quando non mi ascoltava. Io avevo il mio punto fisso e so che, anche se ora non può esserci, vivrà per sempre dentro di me, nelle cose di tutti i giorni, nei sorrisi e nelle lacrime della gente. Nella musica. Perché quando suono o ascolto una canzone è come se ce lo avessi vicino. Mi sembra di vederlo sorridere. Mi sembra che la mia salita sia meno ripida e in piano, con la mia nuvoletta che si dipinge di nuovi colori ed emozioni. Ed io che mi sento un po’ meno sola e un po’ più a casa.