Il viaggio di Giovanna Alexe

E’ da una settimana che sono obbligato a stare a letto. Mi sembra sia passata un’eternità, sarà perché non sono abituato a stare fermo.
Il mio lavoro non mi permette neanche un secondo libero,soprattutto nel ultimo tempo, che mi ha preso a tal punto da trascurare mia figlia, Veronica, di soli dieci anni. Lei, ogni sera, rimaneva sveglia per salutarmi e per darle il bacio della buona notte. Mi sono persino dimenticato del suo saggio di danza, che per lei era così importante, e questo mi distrugge.
Mio figlio Michele, di quattordici anni, è stato comprensivo. Mi vedeva sempre stressato e preoccupato e non si è fatto tanti problemi se non ero presente alle sue partite di basket. Ma la mia piccolina… lei è molto sensibile ed emotiva e non mi perdonerà mai.
In questo periodo sono stato occupato con un progetto di lavoro: il nuovo centro commerciale più potente di tutto il mondo.
E’ assurda come cosa perché mai e poi mai esisterà un grande magazzino più forte del mondo, però, il capo ha insistito.
Due settimane fa ho terminato questo progetto e sono stato entusiasta perché ho passato tante notti in bianco in ufficio per poterlo concludere.
Saranno state le undici di sera e mentre mi stavo dirigendo verso la macchina ,decisi di chiamare mia moglie per avvisarla che finalmente ero libero.
Ma poi… non ricordo più nulla.
Anzi, l’unica cosa che ricordo sono due fari accecanti e poi buio.

….In ospedale….

-Caro, sono Anna, torna da me, torna da noi ti prego. Ormai sono cinque giorni che sei collegato a questo maledetto macchinario che ti tiene in vita. Abbiamo bisogno di te. La piccola Veronica non è più arrabbiata con te, tanto c’è il saggio di fine anno e noi ci andremo, perché so che tra poco ti sveglierai e riderai del mio aspetto buffo e trasandato. Mi bacerai e mi prometterai che non ci farai più stare così male, vero Marco?- dico scuotendolo leggermente cercando di farlo svegliare.
-Svegliati, ti prego- supplico, sentendo scendere altre lacrime calde sulla mia guancia.
Mi siedo sulla sedia bianca vicino al suo letto e mi metto a guardarlo.
Nonostante i suoi quarantacinque anni, ha ancora dei bellissimi capelli corvini, che in questo momento sono tutti spettinati; la sua pelle non è rosea come di solito e nemmeno le sue guance sono rosse come sempre.
Il suo naso alla francese, particolarmente lungo, mi fa ricordare quel giorno in cui gli preparai un cappuccino con tanta schiuma, proprio come piace a lui, e appena ne assaporò un sorso e tolse la tazza dalla bocca notai che il suo naso era sporco di schiuma. Ogni volta che ci penso mi viene spontaneo sorridere.
Anche la sua bocca carnosa non è più rosso ciliegia, ma direi che è di un rosa molto più chiaro. Non mi sembra di guardare il mio marito Marco che era dinamico, frizzante, solare ed ambizioso…
Mi sembra di guardare tutta un’altra persona.
-Mi manchi.- dico stanca accarezzando la sua mano grande che, proprio come il giorno il cui lo conobbi, è fredda.
-Torna… ti prego- sussurro chiudendo gli occhi.

Oddio, cosa sta succedendo? Cosa ci faccio qui in mezzo alla strada di giorno?
Ma dov’è la mia auto? Dove sono?
Mi ricordo che due fari accecanti stavano venendo ad alta velocità verso di me e poi ero quasi sicuro di essere stato investito, invece sono qui. Dio, grazie che sono tutto intero, anche se non  capisco come ho fatto ad arrivare qui…
Mentre tocco ogni parte del mio corpo, per assicurarmi di stare bene, proprio davanti a me si ferma un bellissimo pullman. Sono colpito da quanto è bello. E’ davvero splendido. E’ di colore nero e quasi mi ci posso specchiare per quanto è pulito e ben lavato. Noto che sui lati ci sono delle decorazioni bianche e rosse. E’ molto alto e sembra anche molto capiente.
La porta si apre improvvisamente e un signore gentile e carino, che mi ricorda tanto il Babbo Natale che vedo ogni Natale sulle cartoline, dai capelli bianchi e la barba lunga del medesimo colore, mi dice:- Salga pure signore.-
-Salire per andare dove?- chiedo.
-Tranquillo, sarà un viaggio breve e piacevole e non ci vorrà troppo per arrivare a destinazione.- mi risponde con tanta tranquillità.
Salgo e mi trovo subito a mio agio. Sento la porta chiudersi alle mie spalle e cerco un posto libero nel quale io possa accomodarmi.
Mi sento così bene qui dentro; è come se tutto il peso che mi premeva nel petto fosse sparito.
Mi siedo accanto ad una bella signora che deve avere circa la mia età.
-Salve- la saluto gentilmente e lei ricambia con un leggero sorriso.
I suoi occhi esprimono sollievo e felicità, anche se a primo impatto non si direbbe, dato che sono rossi e gonfi, ma risalta comunque il verde delle sue iridi. Le sopracciglia folte sono più scure dei suoi capelli rossi e ben pettinati, infatti si avvicinano di più ad un marrone. Il naso piccolo leggermente all’insù accoglie delle lentiggini quasi impercettibili. Le sue labbra carnose sono rosa fragola e sono leggermente screpolate.
-Lei sa dove stiamo andando?- le chiedo.
-No…- risponde con voce fragile. -…ma so che questo posto è magnifico e che tutti i nostri problemi spariranno- riprende voltandosi verso di me sorridendo.
Passano dieci minuti circa e l’autobus si ferma.
Mi guardo intorno e vedo le persone alzarsi e scendere. Non avevo notato che nel bus c’erano ragazzini, giovani adulti e anziani.
Scendo anche io e sono senza parole. C’è un prato immenso pieno di fiori, cespugli, alberi da frutto, un lago pieno di ninfee e tanti animaletti.
Il sole pian piano sta tramontando e il cielo a sua volta assume colori incantevoli: giallo, arancione, rosso chiaro, rosa, lilla ed azzurro.
-Che meraviglia- diciamo tutti.
Vicino a me noto un cespuglio di more, le mie preferite, e ne approfitto per assaggiarne una anche perché mi è venuta un po’ di fame.
Prendo la mora e la metto in bocca e devo dire che non ho mai mangiato una mora così buona. Così dolce… mi ricorda le torte deliziose che mi preparava mia nonna quando avevo sei anni circa.
Sento il cinguettio di due usignoli che creano una melodia così soave che ricorda tanto le note più acute di un pianoforte, suonate in perfetta armonia.
Vedo una rosa blu, mai vista prima. Mi abbasso e accarezzo i suoi petali morbidi e soffici; il profumo che rilasciano è davvero incredibile.
Mi guardo attorno e noto che anche gli altri sono stupiti tanto quanto me.
Accanto alle rose blu vedo tanti altri tipi di fiori, tutti colorati e davvero profumati.
Mi attirano in particolar modo dei fiori gialli: i narcisi.
Mi viene in mente il giorno in cui voletti conquistare mia moglie Anna e le comprai un bouquet pieno di narcisi.
Aspetta… Mia moglie!
Oddio ma dove sono? Io devo tornare da mia moglie… dai miei figli!
-Mi faccia tornare indietro. Voglio tornare da mia moglie e dai miei figli!- supplico l’autista.
Lui si volta e mi guarda. -Non posso farci niente.- dice quasi dispiaciuto.
I miei occhi bruciano e sento che le lacrime non resisteranno troppo a lungo.

… Intanto in ospedale…

-Caro, ciao- dico entrando. -…ti ho portato dei narcisi. Mi ricordo ancora il nostro primo
appuntamento- incomincio sedendomi vicino a lui, dopo aver messo i fiori in un vaso.
-Appena entrasti nel ristorante, notai immediatamente il tuo bouquet di narcisi.- un leggero sorriso si fa spazio sul mio volto. – ‘Tutti, ad un primo appuntamento, portano rose o cose simili, ma perché seguire la massa? Appena li ho visti ho pensato a te e tuo sorriso, che mi fa innamorare di te ogni giorno di più’ mi dicesti. Da quel giorno sono diventati i miei fiori preferiti ed il giallo è diventato il nostro colore preferito. Giallo come il sole e la felicità.- concludo asciugandomi le lacrime.
-Questi fiori danno un po’ di colore a questa camera così bianca.- cerco di cambiare discorso.
Continuo ad asciugarmi le lacrime quando lo guardo e noto una lacrima che riga il suo volto.
-Infermiera! Dottore!- urlo presa dal panico.
-Cosa succede?- chiede il dottore entrando seguito a ruota dall’infermiera.
-Sta piangendo.- quasi sussurro.
-Sì, è un buon segno, ma non vuol dire niente.- dice il dottore guardando prima lui e poi me.
-Ok- so dire solo questo guardando il dottore uscire dalla stanza.

Corro dalla donna che era seduta vicino a me: sta ammirando delle rose bianche.
Si gira di scatto e mi guarda. -Cosa ti succede?- mi domanda preoccupata vedendomi piangere.
-Voglio andarmene. Voglio tornare dalla mia famiglia.- dico piangendo.
Lei mi guarda e poi abbassa lo sguardo. -Tu non vuoi tornare dalla tua famiglia?- le chiedo. -Io non ho una famiglia. I miei genitori non ci sono più. Ho un marito, ma io ho paura di lui. – dice guardandomi con gli occhi rossi. -Perché hai paura di lui?- domando. -Lui mi picchia. Mi ha sempre picchiato. Beveva, mi picchiava, finivo in ospedale e poi mi chiedeva scusa. Io l’ho amato troppo per dirgli basta. Mi ripetevo sempre ‘sarà solo una brutta giornata’ , ma non era solo una brutta giornata. Non voglio tornare da lui. Mi ricordo che un giorno, dopo aver bevuto, mi ha dato tanti schiaffi e un pugno nello stomaco e poi sono finita qui.- dice quasi sul punto di piangere.
La guardo e non so cosa dire.
-Che cos’hai giovanotto?- mi domanda una signora sulla sessantina.
-Voglio andarmene. Voglio la mia famiglia.- dico schietto.                                                       -Ma perché andarsene da un paradiso del genere?- mi domanda ancora.                           -Ma a lei non le manca la sua famiglia?- le chiedo a mia volta. Lei mi guarda e sospira.  -Io non ho una famiglia. Non ho nessuno. Ho messo in primo piano il lavoro ed eccomi qua. Una donna sessantenne che non ha un marito e dei figli. Ho avuto un attacco di cuore e mi sono svegliata vicino a quel pullman. Io qua sono felice e comunque la mia vita non mi dà più delle soddisfazioni- dice raccogliendo un girasole.
Inizio a correre. Le lacrime scorrono ancora e ancora.
-Io voglio la mia famiglia! Io voglio vivere!- urlo continuando a correre.
Solo ora l’ho capito: o sono morto o sono in coma. Tutta colpa della macchina che mi ha investito. Inciampo e cado a terra facendomi male.
Strappo l’erba che trovo intorno a me e urlo. -Svegliati Marco! Svegliati!-

… In ospedale…

Qualcuno bussa alla porta e mi giro per vedere di chi si tratta.                                               -Ciao mamma- dicono i miei due figli.                                                                                         -Ciao ragazzi- rispondo al loro saluto.
Anche loro non stanno vivendo affatto bene questo periodo. Specialmente la mia piccola Veronica.
Lei ha paura di perderlo senza avergli detto addio e senza avergli detto che gli vuole bene.
-Come sta papà?- chiede Michele.                                                                                                -Beh, di certo non sta bene, ma penso che abbia un ottanta per cento di possibilità di svegliarsi.- dico cercando di sembrare ottimista.
-Non sembri tanto convinta.- dice mio figlio. Purtroppo e per fortuna lui capisce quando una persona mente. Avrei preferito che in questo momento non lo avesse capito anche perché non voglio ferire la mia piccola.
-Ma certo che ne sono convinta.- mento, cercando di sfoggiare un magnifico sorriso.
Lui mi guarda, ma non dice niente.
Mi viene da piangere solo guardando il mio Michele. E’ uguale al padre. Stessi lineamenti, stesso sguardo intenso e profondo. Stessi occhi color cioccolato con dei riflessi verdi. Alto quasi come il padre.
-Com’è andata a scuola?- chiedo cercando di cambiare argomento.                                      -Come al solito.- risponde Michele sollevando le spalle.                                                          -Abbiamo fatto delle prove per il saggio di fine anno.- dice Veronica guardando il padre.
-Vedrai che il saggio sarà magnifico. Io e papà saremmo in prima fila.- dico abbassandomi al suo livello e spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Dici che papà riuscirà ad esserci- chiede la mia piccola. -Secondo me, sì. Avvicinati e chiediglielo.- la incoraggio.
Lei si avvicina e gli prende la mano. -Papà, ci sarai il giorno del mio saggio?- chiede. Sta per piangere.
Mi avvicino e la abbraccio.
-Certo che ci sarò il giorno del tuo saggio.- dice una voce.
Mi metto a piangere.

Sento delle voci. -Papà, ci sarai il giorno del mio saggio?- chiede una vocina fragile che è sul punto di piangere. Ma è la mia piccola Veronica!
Devo svegliarmi per dirle che ci sarò. Devo dirglielo.
-Certo che ci sarò il giorno del tuo saggio.- dico.
Apro gli occhi e vedo tutti che mi guardano.
Vedo la mia Anna che incredula mi guarda e poi scoppia in lacrime.
E’ sempre bellissima: i suoi capelli lunghi color castano chiaro raccolti in una coda di cavallo leggermente spettinata, i suoi magnifici occhi azzurri di cui mi sono innamorato la prima volta che l’ho vista, il suo naso piccolo e a patata, le sue labbra rosso sangue.
-Dottore! Dottore!- urla lei.
Lei si butta su di me e mi abbraccia. -Dimmi che non sto sognando.- dice lei piangendo e tremando.
-Non stai sognando.- le dico accarezzando la sua schiena tenendola stretta a me.
-Tesoro, mi stai stringendo un po’ troppo forte- dico ridendo.
Lei si stacca bruscamente. -Scusa.- dice asciugandosi le lacrime.
Il dottore entra e mi guarda. Immediatamente entra l’infermiera e anch’ella si mette a guardarmi.
Mi guardo attorno e vedo i miei figli: stanno piangendo. Li guardo e sorrido.
Vicino a me vedo un vaso di narcisi e quasi mi metto a piangere.
Guardo il dottore e l’infermiera discutere animatamente; forse non si aspettavano il mio rientro dal breve viaggio che ho fatto.
Il medico dice qualcosa alla mia famiglia e loro successivamente escono.
-Come si sente signor Rossini?- mi chiede il dottore.                                                                -Molto bene. Sono felice di essermi svegliato che lei non può minimamente immaginare. Il solo pensiero che avrei potuto perdere la mia famiglia mi fa venire i brividi. Non mi sono mai sentito cosi vivo e felice- dico pieno di energia.
-Sinceramente, ci rende felici il fatto che stia bene, ma vogliamo essere sinceri con lei: pensavamo  che sarebbe morto. Le probabilità che si svegliasse dal coma erano infime. Quindi, lei non immagina quanto è stato fortunato.- dice il dottore guardando le cartelle che evidentemente parlano di me.
-Quando potrò tornare a casa?- chiedo, sperando di andarmene il prima possibile.
-Data la sua situazione, dovremmo tenerlo qualche giorno sotto osservazione…- dice sfogliando le cartelle -…spero non più di una settimana – conclude chiudendo le cartelle guardandomi in faccia.
Sta per uscire, quando mi viene in mente una cosa. -Dottore! Aspetti un secondo.- dico e lui si volta.
-Conosce per caso una donna dai lunghi capelli rossi, lentiggini, naso all’insù e labbra carnose e screpolate?- chiedo ricordandomi della donna che era seduta vicino a me sul pullman.
-Si, la signora Elena. E’ stata ricoverata d’urgenza a causa di grandi ferite. Molte volte è venuta qui a causa di ferite da taglio, lesioni alla testa, lividi sul corpo. Alla fine abbiamo scoperto che è stato il marito e proprio ieri abbiamo chiamato la polizia. Purtroppo lei non ce l’ha fatta. Ieri sera il suo cuore ha smesso di battere. -sospira il dottore. -Ma almeno ora è in un posto migliore.- dico io.
Il dottore annuisce e si reca verso l’uscita.

-Sono così felice- dico guardando mia moglie che sta guidando. Lei si gira per un istante e mi guarda.                                                                                                                         -Anche io sono così felice e sollevata…- dice tornando a guardare la strada. -…ho avuto paura di perderti per sempre.-conclude.
Guardo il paesaggio scorrere velocemente e dopo un quarto d’ora circa vedo la nostra casa. Tutto è rimasto così com’era.
Entro e un profumo di muffin invade le mie narici. Mi guardo attorno e tutto è al suo posto. Mi siedo sulla sedia della cucina assieme ai miei figli e vedo mia moglie togliere dal forno dei deliziosi muffin al cioccolato. Li posa sul tavolo e successivamente prende del succo all’arancia fatto da lei e lo mette sul tavolo. Si accomoda e iniziamo a mangiare. Mi era mancato tutto questo: mia figlia che racconta dei suoi nuovi passi di danza imparati negli ultimi giorni, mio figlio che ci parla di come ha fatto vincere la sua squadra di basket e mia moglie che mi guarda amorevolmente sorridendomi di tanto in tanto.
Dio mi ha dato una seconda opportunità per apprezzare le cose e le persone più importanti della mia vita. A volte siamo così presi dal lavoro o dalle cose futili che dimentichiamo di goderci il meglio della vita.
Se veramente esiste quel posto meraviglioso nel quale sono stato, sicuramente vorrò andarci anche io, ma spero il più tardi possibile.
Adesso vorrei godermi la mia bella famiglia e fare dei viaggi, un po’ diversi da quello che ho fatto in questi giorni .

 

 

Scritto da Alexe Giovanna, 1 A LST