IL VIAGGIO di Chiara Geremia

Quella mattina Vivian si era alzata di pessimo umore; dal momento in cui aveva aperto gli occhi le era parso evidente che sarebbe stata una giornata infernale. Uscita a fatica da sotto le coperte non aveva trovato le pantofole nella posizione in cui le aveva lasciate la sera prima, il suo caffè bollente si era rovesciato proprio sul tailleur appena ritirato dalla lavanderia, per la troppa fretta non era riuscita a fare colazione e aveva dovuto trangugiare un avanzo della pizza ordinata la sera prima, e ora, seduta sui sedili posteriori di quel malandato taxi giallo, si trovava a guardare fuori dal finestrino sporco e a pensare una scusa da rifilare al capo per giustificare il suo ennesimo ingresso in ritardo.

In effetti il miglior pregio di Vivian non era certo la puntualità. Riusciva sempre a non arrivare in tempo, e ogni volta era in grado di trovare le giustificazioni più disparate per salvarsi dai guai in cui si era cacciata; ma quella mattina proprio non aveva idee. Gli avvenimenti dell’ultimo periodo sembravano gravarle sulla schiena come un pesante macigno,i pensieri cupi la facevano sentire schiacciata dalle priorità che con il tempo aveva stabilito nella sua vita, le sembrava di essere intrappolata in una gabbia che lei stessa aveva costruito, e all’improvviso capì di essere protagonista di un’esistenza che non le apparteneva. Così spalancò la portiera, sporgendo con una mano tremolante una banconota al guidatore del taxi, appoggiò il piede sull’asfalto bagnato e scappò via, facendo gincana tra le varie automobili in coda, e venne risucchiata dallo smog di Parigi.

“Signorina, si sposti! Cosa fa lì in mezzo alla strada?”. Una strombazzata di clacson riportò alla realtà Vivian che, stordita dal rumore del traffico e dalla foschia autunnale, era simile a un cerbiatto immobilizzato di fronte ai fari di un’automobile. Straniata, la ragazza si spostò dirigendosi verso il marciapiede ma, camminando in modo deciso, la sua scarpa “Louboutin” tacco dodici rimase incastrata tra i ciottoli del selciato, e lei cadde rovinosamente a terra. Dalle sue labbra rosso vermiglio uscì un’imprecazione colorita e poco femminile; detestava quella città: il traffico assordante, le folle di persone che incontrava ogni giorno senza mai riconoscere un volto familiare, le bancarelle che intralciavano il passaggio della gente indaffarata, la costante sensazione di solitudine che l’avvolgeva pur non rimanendo mai realmente sola, l’incessante senso di insoddisfazione che riempiva le sue giornate.

Dopo un primo momento di pura vergogna e umiliazione, la donna si alzò, tentando di mantenere un aspetto dignitoso, e riuscì a raggiungere il marciapiede. Iniziò allora a vagare senza meta, tentando di trovare qualcosa che fosse in grado di restituirle un attimo di pace. Infatti Vivian, negli ultimi anni, aveva sviluppato la terrificante capacità di non riuscire più a gioire di nulla. Non era stata la causa di un evento drammatico, aveva semplicemente smesso di ammirare ed apprezzare il mondo intorno a lei; era come se non fosse più in grado di vedere il mondo a colori.

Mentre era immersa nei suoi pensieri però, la sua attenzione fu richiamata da un’anziana signora che, piegata per il peso di due grandi borse che era costretta a portare, arrancava zoppicando. Si trattava di una vecchina come tante altre, con il viso dolce e rugoso, i capelli corti incanutiti dall’età, le mani nodose, il corpo minuto ricurvo come schiacciato dal peso degli anni e un vestito a pois verdi che a Vivian faceva accapponare la pelle. Di fronte ad una scena tanto pietosa, la ragazza si offrì di aiutarla, prendendole i pesanti borsoni, e si incamminò seguendola. Attraversarono insieme un grande arco decorato e si ritrovarono in una grande piazza, piena di bancarelle vivaci e persone rumorose; alcuni bambini di ogni nazionalità ed età giocavano insieme, disperdendo schiamazzi allegri nel cielo torbido di quel giovedì mattina, facendo sorridere amorevolmente le madri orgogliose; un dolce profumo di pane appena sfornato usciva dalla vetrina di una panetteria antica e si diffondeva nell’aria, stuzzicando la golosità dei passanti. All’improvviso la vecchia che era parsa tanto innocua, si intrufolò nel negozio, afferrando una grossa e croccante pagnotta, per poi scappare veloce, gridando alla ragazza di seguirla. Vivian si ritrovò così a rincorrere una anziana signora attraverso il mercato popolare di Parigi, scontrandosi continuamente con persone di cui sentiva solo le imprecazioni lanciatele contro; corse così rapidamente da non capire dove stesse andando, e all’improvviso si rese conto di trovarsi in un angusto vicolo, in cui i colori vivaci delle bancarelle erano stati sostituiti dall’intonaco scolorito delle case malandate. L’anziana donna si appoggiava al muro sporco di quella che probabilmente era la sua casa, sorreggendosi a fatica e tentando di riprendere il fiato. Aveva il volto rigato di lacrime, le mani nodose si tormentavano in un gesto di amara vergogna, i candidi capelli erano scompigliati dalla frenetica corsa, l’esile petto sussultava velocemente, scosso dai singhiozzi; sembrava estremamente scossa e pentita di ciò che aveva fatto ma, non appena scorse la ragazza che avrebbe tanto voluto aiutarla, le intimò di lasciare le borse sul pianerottolo e di andarsene, per poi scomparire nuovamente, entrando nella porta decadente dell’edificio.

Turbata, Vivian si allontanò, tornandosene da dove era venuta, riflettendo riguardo alla scena a cui aveva appena assistito. Assorta nei suoi pensieri e camminando spedita per tornare a casa, si rese conto di avere uno sguardo profondamente cambiato: si soffermava sui particolari,per trovare qualcosa che la ricollegasse alla vicenda vissuto poco prima, senza giudicare però il comportamento della anziana signora, che riteneva solo vittima di uno sventurato destino. Improvvisamente così, notò una realtà estremamente diversa dalla sua. Nella povertà più estrema di cui era venuta a conoscenza, in cui le persone erano anche costrette a rubare per poter sopravvivere, sembravano tutti più sereni e felici di lei; e ciò non poteva lasciarla indifferente.

Tornata sulla via principale, percorrendo la strada di casa, decise di non chiamare un taxi, come era abituata a fare, ma scelse per una volta di provare a concentrarsi su ciò che la circondava: la varietà degli oggetti esposti dai venditori ambulanti, la bellezza della Senna, che ora non le sembrava più nemmeno così sporca, la gioia e i sorrisi sui volti della gente; si rese conto così che l’andamento monotono e noioso delle sue giornate dipendeva solo da lei.

Il giorno seguente Vivian si alzò, per la prima volta dopo diverso tempo, con il sorriso. Bevve il suo caffè, come ogni mattina lo rovesciò sui vestiti puliti ma, senza darci troppa importanza, uscì di casa e, sorridendo a tutti i passanti, camminò fino alla panetteria del giorno prima; comprò una grande cesta piena di pane caldo e croccante e la lasciò davanti alla porta dell’anziana signora, che vide sorridere dietro alla tende sdrucite della sua umile casa.