Il viaggio di Nadia Vidotto

E’ cominciato tutto con un semplice pianto, un grido in sala parto, era il 26 maggio del 2001 ore 20.45.

Dopo solo quattro mesi, il destino ha voluto che tornassi dovo sono nata, in ospedale operata per trigonocefalia.

Ringrazio il Dottor Cagliero per essersene accorto, continuavo ad avere febbri alte e una deformazione alla testa, gli occhi che cominciavano a girarsi al contrario e diventare bianchi. L’operazione dalle quattro ore che doveva durare, durò nove ore e ciò preoccupò molto i miei genitori. Alla fine dell’operazione mia mamma entrò in sala e mi chiamò per nome, io aprì gli occhi, la guardai in segno di vita e li richiusi.

Questo fu il mio primo passo all’approccio della vita.

Nonostante ciò, nonostante aver rischiato di morire, oggi sono qui e voglio raccontarvi la storia del mio viaggio. E’ un bellissimo viaggio tra alti e bassi, tra tutto ciò che è vivente, tutto ciò che ci è stato dato di più bello da madre natura.

E’ cominciato tutto in una piccola casetta di 50 mq, sulla collina Trofarellese immersa nel verde. Mi ricordo che mi piaceva andare fuori in cortile, non vedevo l’ora di aprire quella pesantissima porta rossa bordò, andare a annusare le profumatissime rose che tanto amava mia nonna, non vedevo l’ora di uscire per andare nei campi, correre e ammirare il panorama, sentire i profumi, l’odore della terra secca che si sbriciolava tra le mani quando faceva caldo, o l’odore della terra bagnata quando pioveva o quando irrigavamo le colture; mi divertivo a bruciarmi la schiena sotto il sole e correre sotto la pioggia per rinfrescarmi e rilassarmi.

Mi divertivo ad aggrapparmi a quegli archetti delle serre dove poggiavamo il velo da sposa per riparare le piante dal freddo e saltare da uno all’altro come una piccola scimmietta.

Mi divertivo a staccare i pomodori dalle piante e mangiarli anche verdi, mi piaceva il loro profumo, il loro fiore giallo canarino che spiccava nel verde delle mille, infinite e maestose piante. Mi divertivo a maggio, periodo della raccolta delle ciliege, a stare sotto gli alberi ad aspettare la cesta piena o correre sulle scale e mangiarle, erano dolcissime, profumatissime, rosse che spiccavano in quella valle contornata da grano, mais e arnie d’api.

Ma la cosa che amavo di più era alzarmi al mattino con l’idea di trovare una nova vita al mio fianco, non vedevo l’ora di correre in quella piccola e calda stalla e trovare un vitellino o un pulcino o un gattino o un cagnolino o un rondinino. Non vedevo l’ora che arrivasse mio papà con il taglia-erba carico di erba fresca per dar loro da mangiare; quando era estate mi divertivo cercare le cavallette che saltavano da un fiore all’altro del mucchio.

Amavo preparare le ceste per i vitelli con la farina e la crusca. Ma tutto ciò che di più caro porto nel cuore sono le sere passate nella carriola piena di paglia in quel piccolo cortile ricco d’amore, dove alzavo gli occhi al cielo e c’erano solo stelle e la grande luna che ci davano la buona notte. Erano sere bellissime perché mi addormentavo circondata da natura, suoni meravigliosi come le rondini i loro cinguetti, le mucche i loro muggiti, i gattini i loro miagolii, che si spegnevano con il calar della notte e lo spegnersi delle luci, l’aria fresca che mi abbracciava, tutto accompagnato dalla voce melodica di mia nonna che mi cantava sempre: ” guarda che sole, guarda che luna, guarda le stelle come sono belle nel cielo blu”.

Altra cosa che amavo tanto erano le feste, come il natale, la pasqua e i compleanni.

Amavo il natale perché non vedevo l’ora di fare l’albero, scrivere la letterina a Babbo Natale e aspettare il suo arrivo, ma non lo vidi mai, se non solo i pacchi che trovavo davanti alla porta d’ingresso o nel cortile alla mattina.

Amavo il natale perché insieme ai miei quattro fratelli e ai miei undici cugini scartavamo i regali e mangiavamo insieme panettone e pandoro in quantità.

Amavo la pasqua perché non vedevo l’ora di rompere le uova di cioccolato e vedere cosa c’era al suo interno e condividere insieme ai miei zii e cuginetti il cioccolato e le sorprese.

Amavo i compleanni perché c’era gioia, serenità, felicità. Si mangiava, si giocava, si parlava; cose che oggi non so nemmeno cosa vogliano dire, rimangono solo ricordi.

Ero felice fino a cinque anni fa, fino all’età di 12 anni. Il dopo è solo tragedia e dolore.

Cominciò il peggio nel 2010 quando persi mio padrino, che mentre stava andando alla sua vigna, si ribaltò il trattore, rimase schiacciato e morì sul colpo. Nello stesso anno persi anche mio nonno, papà di mio padrino. Nel 2011 persi la mia dolce bisnonna e nel 2012 mi vidi portare via mio padre.

Mi vidi portare via la persona a cui ho sempre voluto bene, era un papà meraviglioso che aiutava sempre tutti, anche chi non se lo meritava, nonostante avesse lavoro sin sopra i capelli, non riposava mai; ricordo che talmente era stanco che quando era l’ora di pranzo o cena si addormentava sul piatto.

Me lo vidi portare via dalla sua amante. Per portare via intendo: allontanarsi da me, dai suoi cinque figli, da sua moglie; non era più lo stesso, cambiò carattere, cambiò mentalità e smise di lavorare.

Dal 2012 ad oggi (2018) vidi soltanto la mia famiglia sgretolarsi, vidi affondare i valori, i sacrifici che avevamo fatto per costruire una casa dove poterci poi stare in futuro, una casa che da 17 anni è in costruzione ma non ancora finita; vidi il rischio del fallimento dell’azienda, vidi solo più litigi tra papà e mamma, tra zii e nonni.

Oggi invece vedo solo più avvocati, giudici, mani che impugnano penne per firmare fogli per ottenere la separazione, vedo mia mamma piangere giorno e notte, lavorare come un mulo per darci da mangiare, mandarci a scuola, fratelli tristi con il dolore negli occhi.

Solo quattro mesi fa decidemmo di cambiare casa, per cercare di riprenderci un po’, ma non so se sia così o meno. Vedo però dei cambiamenti, mia mamma nonostante lavori sempre tanto, la vedo più serena, i miei quattro fratelli più reattivi e io sono qui, giorno e notte a pensare e ripensare al passato, al presente, a ciò che sarà il nostro futuro e a ciò che potrebbe ancora succedere.

Ma la cosa più ” divertente” è che io mi accollo anche i problemi degli altri, perché sono fatta così, cerco sempre il meglio per il prossimo, cerco di dare il meglio di me per dare un po’ di serenità, ma sento sulle mie spalle che tutto questo sta cominciando a pesare troppo.

Per fortuna però, ho da pochi mesi conosciuto una persona meravigliosa che mi aiuta in tutti i modi, mi fa sorridere, mi aiuta in famiglia, mi vuole bene, è presente al mio fianco quando sto male o piango.

Questo viaggio tra alti e bassi, mi ha insegnato che è sotto le tempeste che ti accorgi chi veramente sta affianco a te a danzare e ripararti perché ci tiene; mi ha insegnato che in un modo o nell’altro se si vuole la felicità non la si deve aspettare, ma la si deve costruire.

Questo viaggio non so né come e né dove terminerà, ma fin qui ci sono arrivata e so di avercela fatta ancora una volta.